4 - Prevenzione e vigilanza nell'attività di controllo degli S.Pre.S.A.L. - Michele Di Lecce, Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Alessandria

I termini prevenzione e repressione hanno da decenni animato il dibattito tra coloro che operano in questo settore ed hanno, specie in passato, fatto sorgere contrapposizioni rivelatesi poi, nel migliore dei casi, del tutto artificiose.
Si è infatti giunti da qualche tempo ad un approfondimento, sia sul piano generale che su quello specifico, di queste problematiche che vede in ogni attività, genericamente riportabile alla vigilanza posta in essere da un organo pubblico, come inscindibili gli aspetti più strettamente prevenzionali e quelli più propriamente repressivi.
 
D’altra parte la stessa contestuale attribuzione, proprio in materia di sicurezza del lavoro, ai medesimi organi di funzioni di controllo sia di natura amministrativa che quali ufficiali di polizia giudiziaria va evidentemente in questo senso. In proposito non sarà inutile ricordare che una tale duplice attribuzione di funzioni è stata ritenuta pienamente legittima dalla Corte Costituzionale, sempre che i profili amministrativi e di polizia giudiziaria rimangano chiaramente individuati e delimitati, come accade appunto nel settore del quale ci occupiamo.
 
In definitiva, quindi, credo che oggi non possa non convenirsi sulla constatazione che la prevenzione e la repressione (o meglio le attività tendenzialmente maggiormente riportabili all’una od all’altra) rappresentano, nella realtà, le due facce della stessa medaglia, non essendo ipotizzabile alcuna contrapposizione o alternativa tra le stesse, che anzi devono necessariamente procedere congiuntamente, anche se in misura e quindi in proporzione di volta in volta diversa a seconda delle diverse realtà, ma sempre in assoluta sinergia al fine di raggiungere l’unico obiettivo inevitabilmente comune.
 
Basterà, ad ulteriore conferma di ciò, tenere presente la stessa impostazione di fondo data dal nostro  legislatore alla attuale normativa prevenzionale. Un chiaro esempio in questo senso è dato dalla introduzione di una causa generale di estinzione delle contravvenzioni in materia prevenzionale, prevista, come è noto, dal D.Lgs 758/94. Così facendo, infatti, il legislatore ha indicato come obiettivo primario da raggiungere quello della prevenzione (vale a dire della eliminazione o riduzione al massimo possibile delle condizioni di pericolo accertate), rinunciando addirittura alla punizione in sede penale una volta che si sia compiutamente e tempestivamente ottemperato da parte dei contravventori alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza, ma graduando ed inasprendo contemporaneamente le sanzioni penali da infliggere a coloro che in varia misura continuassero a non osservare le norme stesse.
 
Per altro, questa stessa impostazione è rinvenibile non soltanto nella nostra legislazione prevenzionale, ma anche in quella comunitaria, che ormai rappresenta la fonte quasi esclusiva di quella nazionale, tanto che in una delle ultime decisioni, più precisamente del luglio 2002, del Consiglio dell’Unione Europea su questa materia, si poneva particolare enfasi su un’attività di tipo informativo, di sensibilizzazione, di anticipazione, di diffusione delle conoscenze sulle buone prassi al fine di ridurre infortuni sul lavoro e malattie professionali, lasciando poi ai singoli Stati membri di prevedere le sanzioni in via subordinata.
 
Continuando su tale strada il legislatore italiano, nei venti criteri e principi direttivi indicati nella legge con la quale è stata conferita per l’ennesima volta, nell’agosto scorso, al Governo la delega ad emanare il nuovo Testo Unico in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, ce ne sono almeno due in questa ottica, che quindi vale la pena di richiamare:
il primo è quello nel quale si afferma che il Testo Unico dovrà definire un assetto istituzionale fondato sull’organizzazione e sulla circolazione delle informazioni, delle linee-guida, delle buone pratiche volte a favorire la promozione e la tutela della salute nei luoghi di lavoro anche attraverso un sistema informativo nazionale
il secondo è quello nel quale si indica al legislatore delegato, come obiettivo da realizzare, una razionalizzazione ed un coordinamento delle strutture centrali e territoriali di vigilanza, al fine di rendere più efficaci gli interventi di pianificazione, programmazione, promozione della salute, e di vigilanza anche al fine di evitare sovrapposizioni, duplicazioni, carenze di controlli
 
Oltre al richiamo al quadro normativo, occorre poi tener presente, sotto questo specifico profilo, anche gli orientamenti giurisprudenziali di riferimento formatisi nel corso degli anni. In particolare mi riferisco qui schematicamente a due principi che la Corte Costituzionale ha più volte ribadito in questa materia:
il primo riafferma, se mai vene fosse bisogno, che la salute è un bene primario che assurge a fondamentale diritto della persona ed impone una piena ed esaustiva tutela, tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato
il secondo attiene all’interpretazione stessa delle norme prevenzionali e quindi alla loro necessaria lettura in chiave appunto costituzionale, vale a dire di compatibilità col sistema delineato dalla nostra Carta Costituzionale
 
Quest’ultima indicazione, ad esempio, è alla base della notissima decisione (la sentenza n. 312 del 1996) con la quale la Corte Costituzionale, pronunziandosi sulla legittimità dell’art. 41 D.Lgs 277/91 (esposizione a rischio rumore, norma allora vigente), aveva ritenuto la legittimità di tale previsione normativa sulla base di una considerazione di carattere più generale, per altro sostanzialmente vincolante ancora oggi per l’interprete e per il giudice. La Corte, in questa decisione, aveva affermato, infatti, che le misure concretamente attuabili, cui faceva riferimento la normativa impugnata, erano quelle che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni rispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto genericamente acquisiti.
 
La stessa Corte Costituzionale poi , in altre decisioni successive, ha individuato una caratteristica della nostra legislazione prevenzionale legata alle tecniche normative utilizzate dal legislatore che sono storicamente rapportabili ad almeno due diversi modelli:
uno è quello secondo il quale il legislatore procede dando una serie di prescrizioni puntuali e dettagliate nelle quali, ovviamente, sono indicati dei comportamenti precisi che i soggetti obbligati devono tenere
l’altro, più interessante, è quello caratterizzato dalla pre-determinazione dei fini che il datore di lavoro deve raggiungere; non più, quindi, indicazione normativa di comportamenti precisi e specifici da tenere, bensì individuazione dell’obiettivo prevenzionale da raggiungere attraverso comportamenti che non sono puntualmente indicati dal legislatore, ma che il soggetto obbligato deve necessariamente scegliere prima e tenere poi
 
Questa seconda tecnica normativa è quella attualmente più largamente diffusa ed è seguita dal nostro legislatore in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro, che, come si è già detto, è oggi di prevalente derivazione comunitaria.
 
Di certo sono sufficienti, in questa sede, tali sommari spunti di riflessione per sostenere con forza  che, soprattutto in questo momento storico, è assolutamente impossibile scindere l’attività di vigilanza o di controllo da quella di repressione.
 
Da parte di tutti gli organi che, a vario titolo e con diverse competenze specifiche, sono chiamati ad intervenire in questo settore, c’è quindi la necessità di procedere su di un piano di cooperazione con i soggetti obbligati, di coinvolgimento di tutti gli interessati (che non sono solo gli obbligati al rispetto delle norme di settore) e di applicazione rigorosa della normativa vigente, che, pur avendo enfatizzato molto, nell’ultimo decennio in particolare, il profilo prevenzionale, ha ancora in sé un sistema sanzionatorio, di natura prevalentemente penale, secondo un scelta rimasta immutata fin dagli anni ‘55/’56, finalizzato a scoraggiare il nascere prima ed il perdurare poi di situazioni illegali.
E’ perciò naturale che un’attività complessa, come certamente è quella di controllo in senso lato, abbia, o possa avere, una ricaduta su un duplice piano.
 
Occorre però intendersi su ciò per non ricadere nella vecchia contrapposizione di cui si diceva all’inizio. Si tratta infatti di attività che, comunque caratterizzate, hanno sempre delle ricadute prevenzionali più o meno dirette.
Ogni verifica, ogni accertamento, ogni studio sulle condizioni di lavoro e sulle esposizioni a rischio per i lavoratori ancorato ad una determinata realtà non può non avere, se correttamente condotto, una valenza appunto prevenzionale.
 
In questo senso anche indagini di comparto come quella di cui oggi si parla devono naturalmente avere una ricaduta concreta sul piano prevenzionale, vale a dire una incidenza diretta sugli interventi di controllo e vigilanza che saranno realizzati non solo nei luoghi di lavoro oggetto dell’indagine, ma anche in tutti quelli nei quali si svolgono attività lavorative in qualche modo assimilabili o addirittura uguali a quelle qui prese in esame.
Indagini di questo genere, o comunque ad esse assimilabili, rappresentano un efficace strumento per raggiungere un elevato livello conoscitivo non solo e non tanto di una o più singole situazioni esistenti, ma soprattutto dei rischi, magari già conosciuti o ancora non del tutto conosciuti, comunque esistenti e legati a certe lavorazioni, in modo da poter mettere a punto strategie di intervento complessive e tali da avere una grande e diffusa efficacia prevenzionale.
 
Un patrimonio conoscitivo così acquisito va quindi messo a disposizione di tutti i soggetti a vario titolo interessati attraverso opportune forme di pubblicizzazione dei risultati raggiunti e di scambi informativi.
Si tratta in buona sostanza di dar vita a piattaforme comuni e condivise nelle quali riversare le conoscenze settoriali di volta in volta realizzate per poter, su tale base, avviare anche una diffusa attività di vigilanza, partendo dall’ovvio presupposto che le condizioni di lavoro sono in via generale e sempre migliorabili. Non si può infatti mai dire che, avendo raggiunto un obiettivo di tutela in un certo momento storico, lo stesso è desinato a rimanere quasi fossilizzato per un tempo indeterminato. Nella attività prevenzionale non c’è nulla di statico, non c’è nulla di valido per sempre o comunque per un tempo abbastanza lungo, ogni risultato raggiunto va continuamente verificato, aggiornato in base alle conoscenze scientifiche del momento.
 
E’ esperienza comune quella di imbattersi in problematiche relative, ad esempio, a rischi non ancora del tutto conosciuti o perlomeno non ancora sufficientemente studiati, che una volta evidenziati in qualche misura, divengono oggetto di approfondimento, portando poi alla affermazione sul piano scientifico delle loro dannose conseguenze. E’ assolutamente ovvio che tutte le conoscenze scientifiche hanno dei limiti e sono costantemente in evoluzione. Questa evoluzione va tuttavia costantemente seguita e tenuta presente nella attività quotidiana, cercando di anticipare il più possibile gli interventi prevenzionali ritenuti opportuni, se non necessari, al fine di migliorare le condizioni di lavoro. Tutti gli studi ed i monitoraggi devono perciò essere costantemente aggiornati, per poter concretamente giungere a ridurre e/o eliminare i rischi conosciuti e studiati, ma anche quelli in via di individuazione o ancora non ritenuti tali, che però non per questo non esistono.
 
In ogni caso però anche indagini come questa dovranno avere certo una ricaduta su di un piano più strettamente prevenzionale, ma anche una eventuale incidenza su un piano più strettamente punitivo nel momento in cui in quelle realtà oggetto delle indagini ( o ad esse equiparabili) non fossero realizzati quegli interventi appunto di natura prevenzionale tecnologicamente fattibili.
 
In altri termini, pur essendo prevista, come si è accennato, nella normativa prevenzionale vigente una priorità degli aspetti prevenzionali rispetto a quelli più strettamente repressivi, non potrà mai prescindersi da questi ultimi che dovranno essere tenuti presenti nel momento in cui la prima parte dell’attività di vigilanza dovesse concludersi senza una effettiva attuazione di interventi appunto prevenzionali adeguati e tempestivi.
Tutto ciò va verificato evidentemente di volta in volta, non potendosi attribuire valore a considerazioni in qualche modo standardizzate.
 
Indagini di comparto come questa non possono certo rimanere solo come uno studio valido sul piano scientifico, ma devono avere una incidenza diretta ed immediata sui luoghi di lavoro interessati ed in prospettiva anche su quelli che possono presentare gli stessi rischi e pericoli.
Tenendo tra l’altro presente che solo in presenza di azioni effettive di miglioramento delle condizioni di lavoro e di interventi prevenzionali posti in essere dai soggetti obbligati, il legislatore prevede oggi, e realisticamente prevederà in misura sempre maggiore in futuro, diversificate forme di incentivazione, agevolazioni, finanziamenti, riduzione di premi assicurativi per coloro che più si attiveranno su questo piano.
 
Converrà in proposito ricordare che ancora una volta siamo in presenza di previsioni normative quasi uniche, come unica è stata finora l’introduzione nel nostro ordinamento di quella causa di estinzione generalizzata delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro, cui prima si accennava. Sono pochissimi infatti i settori disciplinati da una Legge dello Stato, che preveda per chi non la osservi sanzioni di natura civile, amministrativa o penale, nei quali viene contemporaneamente previsto che per chi invece le osserva vi siano aiuti, incentivi, premi.
 
In presenza di un apparato normativo specifico che prevede oggi, ma che a maggior ragione prevederà sempre più in futuro, forme in qualche misura premianti, sia pure con modalità diverse, mi sembra francamente molto difficile ipotizzare l’esistenza di reali ed insormontabili difficoltà tali da non consentire di attuare compiutamente determinati tipi di misure prevenzionali.
 
E’ in definitiva più che mai utile, se non necessario, diffondere iniziative del tipo di quella oggi comunicata affinché possa realmente aversi una ampia ricaduta prevenzionale volta al miglioramento delle condizioni di lavoro in tutti i luoghi aventi caratteristiche omogenee, fermo restando naturalmente che, se ciò non dovesse in concreto verificarsi, si dovrà poi agire sul piano più strettamente repressivo, di competenza dell’Autorità Giudiziaria, che però rimane quella che potremmo definire l’ultima spiaggia.

Michele Di Lecce

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Ultimo aggiornamento: 21/12/11